Ambiente in Appennino: tra tutele mal poste e speculazioni



Provo a mettere insieme una serie di dati, impressioni, scambi di opinioni e spero di riuscire a "sgarbugliare" la matassa di pensieri che ho in testa.
Sono diversi anni che vivo e lavoro in Appennino, a Bardi nell'Alta Val Ceno parmense. Ora opero anche come Guida Ambientale Escursionistica della Regione Emilia-Romagna, con all'attivo almeno 800 chilometri all'anno a piedi per sentieri, boschi, laghi, vette, fiumi e torrenti, borghi abitati e abbandonati. Batto praticamente il territorio palmo a palmo, con un cammino lento che è per forza analitico.
Come si può vedere nel sito del gruppo delle guide di Val Taro e Val Ceno TREKKINGTAROCENO.IT.
Mi muovo in spazi con una densità media di 13 persone per chilometro quadrato, dove la natura è sicuramente l'elemento preponderante. Ma questo non significa che alcuni di quei pochi, anche a vantaggio degli interessi di tanti altri che qui non ci vivono, non riescano comunque a fare danni enormi quando vogliono.
Viene da chiedersi se purtroppo non siano proprio il sottosviluppo economico e l'abbandono demografico ad aver permesso alla natura di essere rigogliosa. Una maggiore densità, che sarebbe necessaria per ripopolare e far rivivere la montagna, sarebbe alle attuali condizioni sociali, culturali e politiche anche pericolosa per l'equilibrio dell'ecosistema della montagna stessa?

Forse sì, perché se guardo quei comuni dove la densità abitativa aumenta vedo aumentare in modo esponenziale anche danni ambientali autolesionisti di grave impatto.
Per i soliti "alcuni" sta però diventando "attraente" anche la bassa densità, legata a un'atavica visione della (non) partecipazione politica, di vecchia scuola ecclesiastica: non esporsi, la verità sta sempre nel mezzo, non essere teste calde, ecc... conseguenza anche degli anni della guerra fredda che ancora non sono finiti, non solo in montagna e con punte di vera comicità ("Comunisti!"...).
Una tecnica consolidata è quella di fissare i due punti estremi di un ragionamento tra due posizioni precotte e vicine tra loro: ad esempio una versione soft e una hard di uno scempio, così se si è contro al danno non si è su una della due posizioni ma fuori, quindi si è degli estremisti perché la verità, secondo il vecchio adagio furbesco, "sta nel mezzo". Faccio un esempio non casuale per farmi capire meglio: di un impianto eolico industriale su un crinale viene prima proposta un'installazione spropositata di 9 pale da 150 metri l'una e poi dopo la sollevazione popolare contro l'eco-mostro spunta il mediatore che propone una versione da 12 pale da 90 metri l'una (cioè il 30% in più delle pale più grandi installate finora in Appennino). Se ci si continua a opporre per ragioni di impatto visivo, di posizione geologicamente sbagliata, di vicinanza delle abitazioni, si è degli estremisti accidiosi perché la possibilità di un compromesso è stata offerta. E il fatto che una grande opera non si faccia difficilmente è in discussione, perché c'è sempre un "finalmente" legato a soldi che possono girare, anche se poi questa gran quantità di lavoratori non si vedono mai nonostante prima di partire vengano sempre ipotizzate decine e decine di maestranze.
Il mix ideologico si basa poi sull'avversione per i "verdi", il partito che non esiste più da una decina d'anni e nei fatti anche da una ventina, ma che ancora viene visto ovunque come una specie di organizzazione segreta potentissima che lancia vipere dagli elicotteri, scarica lupi e ogni genere di animale selvatico dai furgoni, ecc... Rei soprattutto di essere contrari alla caccia, sacra religione del "tutto è permesso".
Ovviamente non c'è traccia di un "verde" manco a morire e anche le associazioni ambientaliste latitano. Sui temi dibattuti in questi anni non si sono praticamente fatte sentire. Eppure come nemico occulto, da agitare come un fantasma, esiste il "verde" ed esistono ovunque gli ambientalisti, che ho sentito chiamare anche "ambientisti".
Chi tira le fila del finto complotto ecologista ha spesso interessi politici o economici e il gioco facile è di creare e governare paure, alimentare facili ignoranze.
L'idea di base è comunque che lo sviluppo arrivi con le grandi opere, con l'asfalto e con il cemento. Soprattutto questo fa distribuire lavoro e appalti ai veri gruppi di pressione economica che sono le grandi cave (addirittura con estrazione di pietre ofiolitiche, con rischio di dispersione amianto!), i frantoi e le grosse imprese edili attrezzate per le grandi opere di escavazione e ingegneria civile.
Nel ragionamento bisogna considerare anche che nell'opera di tutela dell'ambiente sono stati compiuti grossi errori che hanno aiutato chi voleva tirare fuori dalla pancia degli abitanti sentimenti che già covavano per ragioni culturali profonde. Il peggiore è stata l'arroganza e la totale mancanza di percorsi condivisi per quanto riguarda i S.I.C. (siti di interesse comunitario).
Troppi passaggi saltati. Quando sono stati presentati, solo a seguito delle prime riunioni auto convocate dalla popolazione, era già tardi. Ci sono stati sindaci che hanno ammesso di non aver ben capito di cosa si trattasse e li hanno dimenticati nel cassetto, altri che come sempre non hanno ritenuto di doverne discutere soprattutto pensando di poter gestire il flusso degli eventuali finanziamenti legati alle zone di tutela, decidendo a chi, come, quanto. Conseguenza degli  anni in cui i finanziamenti c'erano, in modo simile al meridione, con le leggi speciali per la montagna e quindi c'è ancora una vera e propria scuola politico-amministrativa su come va gestito l'enorme potere discrezionale che ne deriva.
L'idea di tutelare aree di particolare pregio naturalistico è ottima, soprattutto quando si tratta di zone dall'equilibrio particolarmente delicato o che vedono la presenza di specie rarissime. E anche gli strumenti indicati, comprese le compensazioni per l'ipotetico minor reddito dei proprietari, mi sembrano adeguate. Fosse per me dovrebbero essere anche più grandi, anche se sicuramente diverse come tracciati. Il fatto, ad esempio, che nel mio paese il perimetro comprenda un pezzo stesso del capoluogo e l'unica piccolissima area industriale-artigianale è veramente assurdo e si presta a facili ma quasi sacrosante strumentalizzazioni.
È anche vero che quando ai comitati sorti contro ai S.I.C. è stata proposta la riperimetrazione questi hanno risposto picche, chiedendo come unica soluzione l'abolizione totale. In questo suggeriti da un parlamentare che pur essendo in  maggioranza ha promesso mari e monti senza riuscire (ci avrà provato?) a cambiare una virgola. Eppure sembrava fosse arrivato il salvatore della patria.
Un risultato l'aveva ottenuto e forse era l'unico che gli interessava veramente: uno spostamento elettorale verso il proprio partito...
Altro aspetto da considerare è la percezione che si può avere quando la natura ti sovrasta e a volte ti sconfigge. Quando un terreno lasciato incolto 2 anni si ritrasforma rapidamente in un bosco, quando gli animali selvatici ti rovinano il terreno coltivato o anche solo il giardino di casa. Quando un torrente si trasforma di colpo in una bomba d'acqua. Quando vedi che lo spopolamento e la decrescita demografica lasciano ovviamente spazio al "selvatico". L'emergenza naturale, a livello mondiale visibile a occhio nudo, qui non può essere percepita se non viene spiegata.
Non fai attenzione quindi alla natura se la percepisci forte e rigogliosa, addirittura più forte di te. Non pensi al danno che fai su un sentiero passando con un mezzo a motore nel fango se vedi che basta non pulire il tracciato che in un paio d'anni ritorna bosco. Non lo pensi se non sai che la conca d'acqua creata potrebbe essere proprio lei l'inizio di una frana a causa dell'infiltrazione che non vedi.
Qui si potrebbe aprire un lungo discorso sugli errori della legge della Regione Emilia-Romagna per la sentieristica e sullo scontro legato ai divieti per i mezzi a motore. Anche in questo caso non negli intenti ma soprattutto nel percorso. Ma è un argomento complesso che merita un post a parte.
Parlare di ambiente di Appennino comunque significa parlare anche di valore del paesaggio e quindi del valore economico che questo rappresenta.
Impossibile farlo senza creare una cultura del paesaggio e quindi della tutela della natura come strumento di base. Politicamente significherebbe pianificare una serie di attività e di trovare il modo di finanziarle.
Ma vedendo buona parte dell'attuale classe politica locale, soprattutto quella valtarese, mi faccio una domanda: a loro gioverebbe?

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