Così la montagna perde la scuola. Rivolta contro i tagli della riforma

Da REPUBBLICA.IT del 16/9/2009 
L'estensione della pluriclasse mette a rischio non soltanto l'istruzione
Allarme da 3.600 Comuni: "Tagliare le classi vuol dire far sparire i nostri paesi" 

di PAOLO GRISERI


C'è chi tiene i figli a casa per protesta, chi occupa i provveditorati, chi si paga gli insegnanti nella scuola pubblica e chi addirittura attira con incentivi le famiglie perché risalgano le valli e vadano a rimpinguare le classi a rischio di scomparsa . La montagna è in rivolta contro i tagli della riforma scolastica.

Non è una protesta che nasce dall'ideologia ma dalla necessità: "Non toglieteci la scuola", sta scritto sulle magliette dei bambini. "Senza le scuole - aggiungono i sindaci - chiudono i paesi".



Il record, probabilmente, spetta a Levone, 490 abitanti nella Comunità montana dell'Alto Canavese, in provincia di Torino: tutti i sedici bambini sono finiti in un'unica classe, ammassati in un'unica aula dai tagli del personale insegnante stabilito dalla riforma.

Tutti insieme appassionatamente, dai piccoli della prima ai più grandi della quinta: si chiama pluriclasse e con le nuove regole (il tetto massimo che è salito da 12 a 18 alunni) sembra destinata a rappresentare il futuro della scuola nei piccoli paesi di montagna. Solo in Piemonte, dicono all'assessorato all'istruzione, le scuole con un'unica pluriclassse sono raddoppiate passando a 60.

"Purtroppo è solo il primo passo", dice Enrico Borghi, presidente nazionale dell'Uncem, l'associazione dei comuni di montagna. Quale sarà il prossimo? "La scure del numero minimo di alunni per scuola. Se abolissero tutte le scuole con meno di 50 allievi, come vuole la Gelmini, potremmo chiudere i paesi. E questo succederà nei prossimi due anni".

In Italia le micro scuole dell'obbligo (elementari e medie inferiori) sono 3.600. Quasi tutte quelle dei paesi in cima alle valli rientrano nel conto: "Chiudere le scuole in certe frazioni - dice il sindaco di Bra (Cn), Bruna Sibille - è come tagliare i boschi e poi stupirsi delle frane. Senza la scuola per i figli, le famiglie si trasferiscono a valle. La montagna si spopola e si degrada".

Le proteste di questi giorni in due comuni della montagna piemontesi (Viù e Ceres) dove i genitori scioperano tenendo i figli a casa, sembrano destinate a moltiplicarsi nei prossimi anni, quando il piano di riduzione entrerà nel vivo. Le conseguenze si cominciano a sentire anche nelle tasche dei contribuenti: "Riducendo il numero delle classi aumentano i costi di trasporto a carico delle amministrazioni locali", osserva il presidente dei comuni di montagna della Lombardia, Livio Ruffinoni. E spesso non basta un autobus. Racconta Sibille: "In cima alle valli valdesi, c'è un paese, Prali, che rischia di perdere la scuola. La strada per il fondovalle è spesso interrotta durante l'inverno. In quel caso abolire la scuola vuol dire costringere le famiglie con figli a trasferirsi".

L'alternativa è comperarsi gli allievi. Succede sempre in Piemonte, in val Pellice dove l'amministrazione di Rorà ha stabilito un tariffario: 1.000 euro per ogni coppia senza figli che va a stabilirsi in paese più 1.000 euro per figlio, mensa e pullman gratis: "In questo modo - spiega il sindaco, Giorgio Odetto - non abbiamo salvato solo la scuola ma anche il resto del paese: oggi con 12 alunni siamo più tranquilli". Ma non certo sicuri. Basta una famiglia che decide di trasferirsi altrove e torna il pericolo.

Anche la politica degli incentivi è a rischio: "Prima Lanzillotta poi Tremonti hanno deciso di tagliare i fondi alle comunità montane", dice il lombardo Ruffinoni. Che non è ottimista per il futuro: "I soldi per i paesi saranno sempre meno nei prossimi anni. Nel 2011 potrebbero ridursi a 11 miseri milioni per tutte le comunità montane. Sempreché non vengano abolite".

A spiegare i tagli draconiani non c'è solo il debito dello Stato ma gli evidenti abusi del recente passato quando le comunità montane sorgevano anche in pianura: "In Puglia - riconoscono all'Uncem - c'erano nel 2008 oltre 300 mila abitanti che risultavano risiedere in comuni di montagna". Un paradosso superato di recente con la riduzione delle comunità montane. Nel frattempo però sono stati creati in quella regione 160 dirigenti scolastici in più del necessario. Il motivo è semplice: in base alla legge, in montagna bastano 300 alunni per creare un istituto scolastico autonomo. In pianura ce ne vogliono 500. Così oggi paga le conseguenze anche chi in montagna abita veramente.

Accade sull'Appennino tosco emiliano a Londa: "Organizzeremo delle cene sociali per pagare gli insegnanti ma la terza media si deve salvare". Parla così Oliviero Giudice, uno dei genitori in prima fila nella battaglia per salvare la scuola alle pendici del Falterona, in provincia di Firenze. "Da qualche anno - spiega Giudice - i 9 ragazzi che oggi frequentano la terza media di Londa rischiano il trasferimento a Dicomano, sei chilometri più a valle". Il problema non sono i sei chilometri "ma il fatto che quella distanza si aggiunge ai 40 minuti di strada che i ragazzi devono percorrere arrivando dalle frazioni più lontane".

Per due anni i 9 della terza A sono riusciti a nascondersi nelle pieghe della burocrazia scolastica evitando la pluriclasse. Con i tagli decisi dalla Gelmini, il trucco è andato in crisi. Il trasferimento a Dicomano sembrava inevitabile. Così è nata l'idea per sopravvivere: "Abbiamo chiesto un contributo alla Comunità montana. Ma quel che mancherà lo aggiungeremo pagando gli insegnanti con i soldi raccolti nelle cene di beneficenza".

In tutto servono 35 mila euro, poco più dei 30 mila che il Comune avrebbe dovuto trovare per pagare lo scuolabus per Dicomano. Una differenza che si può trovare mettendo una buona parte dei 1.800 abitanti di Londa con le gambe sotto una lunga tavolata: "Così - conclude Giudice - saremo la prima scuola pubblica italiana che contiene al suo interno una classe privata perché pagata direttamente dagli abitanti. Un record, diciamolo, abbastanza triste".

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